Unplanned, film sulla verità che fa sempre sold-out
Unplanned, film distribuito da Federica Picchi (fondatrice della Dominus Production), negli ultimi anni è stato lo strumento che più di ogni altro è riuscito a risvegliare le coscienze sul tema dell’aborto. Da alcuni mesi, poi, il film riempie puntualmente ogni sala in cui viene proiettato, mettendo in serio imbarazzo il mainstream progressista. Unplanned narra la storia (vera) di Abby Johnson, trentanovenne diventata accesa prolife dopo aver aperto gli occhi sull’operato della Planned Parenthood, la potente organizzazione abortista che le aveva affidato la direzione di una clinica nel Texas (premiandola, nel 2008, come «dipendente dell’anno»). Nel giorno della storica sentenza con cui la Corte Suprema americana annulla la sentenza Roe v. Wade (stabilendo che i singoli Stati saranno liberi di applicare le proprie leggi in materia di aborto) il Timone ha raggiunto Federica Picchi.
Ultimamente ogni volta che Unplanned viene proiettato è un sold-out. Come spiega questo fenomeno?
«La gente è molto interessata, dal sud al nord Italia c’è fame di sapere. Unplanned è il mezzo più diretto per scoperchiare il vaso di Pandora, per proiettare un fascio di luce nell’angolo più buio della storia dell’umanità. È qualcosa di più di un semplice film».
Che dicono gli esercenti di questo exploit?
«Per loro Unplanned è una vera boccata d’ossigeno. Dopo due anni in cui nessuno è più andato al cinema, il passaparola che puntualmente si crea intorno al film riesce a riempire le sale. Aggiungo che se in passato mi è capitato che alcuni cinema (in verità molto pochi) si opponessero alla proiezione, oggi ad Unplanned vengono srotolati i tappeti rossi e riservate le sale migliori».
Siamo curiosi: chi si è opposto in passato alla proiezione del film?
«Devo essere sincera, è successo con un paio di cinema gestiti da donne. Ebbene sì. Non volevano neanche sentir parlare dell’argomento. Una chiusura – l’ho saputo poi – derivata dal fatto che nella loro vita personale, entrambe erano passate da quella tremenda ferità. Un rifiuto del film dal significativo sapore freudiano».
Che direbbe oggi a quegli esercenti che ancora nutrono qualche resistenza?
«In realtà sono ormai pochissimi. In ogni caso direi loro che un film come Unplanned, cioè la storia vera di una donna, rappresenta davvero la cultura con la “c” maiuscola, cioè quel processo di apertura mentale che non bolla come “tabù” gli argomenti più scomodi, ma è anzi portato ad analizzarli, a studiarli. Non dico che i progressisti debbano pensarla tutti come gli antiabortisti Pasolini e Bobbio (che non sono però proprio gli ultimi arrivati), dico solo che nel 2022 un autentico progresso sociale impone che non sia più possibile lasciare inascoltato nessun dolore, specie se femminile».
Il cinema è poi un meraviglioso luogo di dialogo…
«Il cinema è perfetto per il confronto e per l’arricchimento reciproco. Anche quegli esercenti in passato un po’ dubbiosi hanno capito che il dibattito, l’apertura, il confronto è quello che in tutti sensi li fa vivere, oltre a costituire il vero spirito del cinema, inteso come moderna agorà. Con i tabù ci si chiude (e si chiude), con il dialogo e il confronto si cresce, ci si edifica e si prospera».
Pensa che questo ritorno di interesse per la difesa della vita derivi anche dal dibattito che sta accendendo gli USA riguardo all’abolizione della sentenza Roe v Wade?
«Certamente il dibattito negli USA e la storica sentenza di ieri contribuiranno ancora di più alla corsa del film. È come se anche gli italiani, risvegliandosi da un torpore decennale, dicessero: «Ma allora se ne può parlare, il tema non è più un tabù!». Se negli USA a guida democratica il dibattito sulla vita è all’ordine del giorno – in Tv, sui giornali, nelle strade, nelle scuole –, se i nove giudici della Corte Suprema americana hanno deciso che i singoli Stati, quindi i cittadini, sono liberi di applicare le loro leggi in materia (molte delle quali a difesa della vita), perché allora gli italiani dovrebbero continuare a rimuovere totalmente quello che è stato giustamente definito un “genocidio censurato?».
Le barricate alzate intorno alla Corte Suprema americana per garantirne la sicurezza, i disordini e le violenze che stanno accadendo per le strade non la spaventano?
«Assolutamente no! Servono, anzi, a mostrare al mondo la violenza del fondamentalismo ideologico. Esattamente come i Centri di aiuti alla Vita che in queste ore vengono incendiati dagli attivisti pro aborto americani, o le minacce fisiche nei confronti dei giudici della Corte Suprema. C’è un’avversione irrazionale verso la vita nascente del tutto emotiva, irrazionale, cieca. Se la stampa facesse il suo mestiere sarebbe tutto più chiaro, specie per le giovani generazioni…».
Alcune femministe hanno fatto molto rumore intorno alle proiezioni di questi giorni a Bergamo di Unplanned…
«Sulla scia di alcuni loro duri post sui social, gli esercenti, impauriti, erano addirittura pronti a sospendere le proiezioni. Non era giusto che per la violenza di poche persone dovesse saltare un momento formativo così importante. Ho invitato coloro che avevano già comprato il biglietto a rivolgersi all’esercente, non a me. In pochi minuti l’esercente è stato subissato da così tante richieste di spiegazioni che ha dovuto fare marcia indietro. Poi ovviamente ne è stato felice.».
È un episodio che dice molto.
«Sì, e mostra almeno due cose. Innanzitutto che i numeri sono dalla parte della maggioranza (di solito) silenziosa, e non della minoranza “microfonata” e iper-rappresentata dai media. Ma il piccolo aneddoto mostra soprattutto che dobbiamo avere più coraggio, smettendola di farci mettere i piedi in testa. Anche perché raccontare la realtà, chiamare le cose col loro nome è l’unico modo per ricostruire questa società».
Per ogni proiezione di Unplanned il collettivo di “Non una di meno” invoca disclaimer e contestualizzazioni, «perché», riporta il Corriere, «il film è una forma di disinformazione che fa male alle donne».
«Vogliono anche il contraltare ad ogni proiezione. Il bello è che io le ho invitate ma hanno sempre detto no. Aggiungo poi che non dicono mai in concreto in cosa il film distorcerebbe la realtà. Siccome sono cavillosissima, ho interpellato e fatto scrivere sul punto psicologi e ginecologi: tutti mi hanno confermato che la storia è tutta “da copione”, nel senso che ciò che si vede succede davvero nella realtà. Purtroppo. Può dare fastidio ma Unplanned è semplicemente un film-verità. È la storia vera di una donna, identica alla storia di dolore di moltissime altre donne. Certe intemperanti femministe dovrebbero prenderne atto, come dovrebbero prendere atto che ci sono molte donne che usano l’aborto come metodo anticoncezionale. Davvero va bene così?».
Ispirato ad Unplanned c’è anche un progetto scolastico.
«Sì, solo negli ultimi due mesi il film è stato visto in uno o due Istituti scolastici al giorno. È in perfetta linea con l’Agenda 2030, all’articolo 3, quello su “Salute e benessere”, e all’art. 5, quello sulla “Parità di genere”. Tutte le informazioni sono nella sezione “materiale scuole” del sito www.unplunned.it».
I feedback dei ragazzi?
«Dal Classico all’Artistico, sono innumerevoli, oltre che meravigliosi e commoventi. La storia di Abby Johnson li prende moltissimo. Il progetto è poi affiancato da personale competente: psicologi, psicoterapeuti. Ovvio che i ragazzi solitamente partono a testa bassa, fomentati da una narrazione a senso unico, ma una volta presi per mano e condotti fuori dalla banalizzazione dell’aborto, sono capaci di mettere insieme i puntini e di stupire fino alle lacrime. Basta spendere un po’ di tempo con loro, mostrargli che quella “è vita”, cosa che nessuno fa».
Prossime tappe di Unplanned?
«Il 28 a Seriate, ancora in provincia di Bergamo. Una mega sala da 500 persone è già quasi tutta piena. Poi il tour continuerà in Liguria, Piemonte e in altre regioni. L’incredibile e benedetta coincidenza con la splendida sentenza che arriva dagli USA ci incoraggia e ci conferma nella nostra missione culturale».
Articolo di Valerio Pece. In foto Federica Picchi – Il Timone 25/06/22